18 dicembre 2009
Il percorso mitico di tutela degli ulivi monumentali
“Dagli ulivi del Colle i fanciulli intrappolati nel legno emettono gemiti udibili talvolta nella notte dagli umani ( Nicandro, autore greco del II secolo a.c.)
Colpisce la vicenda posta all’attenzione del Tar Puglia, sezione di Lecce sul ricorso proposto da un’associazione dal nome evocativo “Unione Terre d’Oriente” per l’annullamento dell’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte Eolica (12 pale eoliche) nelle aree poste nel Comune di Giuggianello .
L’associazione ricorrente contestava, fra l’altro, la violazione: (i) degli artt. 14 e ss. della L. 241 del 1990 nella parte in cui la Soprintendenza Archeologica non era stata messa nelle condizioni di partecipare alla conferenza dei servizi: a cui sarebbe conseguito il difetto di istruttoria in quanto non si era reso possibile valutare specificamente il particolare interesse storico ed archeologico dell’area oggetto dell’intervento, non sottoposta a vincolo archeologico; (ii) dell’art. 12, comma 7 del d.lgs. 387 del 2003 nella parte in cui la Regione non avrebbe tenuto debitamente conto del patrimonio culturale e del paesaggio rurale riguardante la predetta area; (iii) della legge regionale n. 31 del 2008 nel punto in cui vieta l’installazione di impianti all’interno di aree caratterizzate dalla presenza di ulivi monumentali, nonché (iii) della legge regionale n. 14 del 2007 la quale tutela gli ulivi monumentali qualora il loro valore storico antropologico sia accertato e rappresentato da idonee documentazioni di carattere storico.
E’ curioso considerare come nella pronuncia in esame (sentenza n. 01890/2009 del 20 maggio 2009, depositata il 18 luglio 2009) il TAR Puglia segua un percorso di serrata ortodossia o se si preferisce di “incastellamento” delle previsioni di tutela dei beni culturali, del paesaggio e dell’ambiente cingendo come in un’unica fortezza diversi piani normativi: il G.A. giunge, infatti, fino al punto di operare una collegamento logico sistematico – a cui eravamo ancora poco avezzi – fra la tutela dei beni culturali e del paesaggio con i principi dell’azione ambientale sanciti nel Codice dell’Ambiente (ed in particolare quelli di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione) il tutto nel nome di un “principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico” (recentemente regolamentato nel dettaglio dal Codice sui Contratti Pubblici) che funge un po’ da ponte levatoio, un po’ da mezzanino ed un po’ da passepartout.
Si sancisce pertanto che il “principio della verifica preventiva dell’interesse archeologico” opera pienamente anche con riferimento ad un’area non sottoposta a specifici vincoli archeologici, ma per cui risulti tuttavia, attestata sulla base di documentazione attendibile la presenza di seri “indizi di culturalità, ossia di elementi di rilevante interesse archeologico”.
Se relativamente agli indizi di culturalità il giudice amministrativa opera una significativa anticipazione della tutela dei beni culturali in maniera non dissimile dalla logica che governa la tutela dei beni ambientali, con particolare riferimento alla tutela degli ulivi monumentali, la pronuncia ha il merito di evocare gli ambiti meno battuti della tutela del “patrimonio culturale della Nazione” quando esso non sia (o sia non del tutto) connotato dal requisito della materialità: ossia le fiabe, il folklore, il mito ed una dimensione magica ed irrazionale a cui determinati luoghi rinviano e davanti ai quali il giurista moderno resta generalmente paralizzato sulla soglia (come ammoniva M. S. Giannini, i beni culturali, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1976, 7: “restando aperti i problemi circa ciò che si ha da intendere per cultura o per civiltà, la nozione di ben culturale per il giurista non può che essere una nozione aperta, il cui contenuto viene determinato dai teorici di altre discipline: e così anche la definizione di bene culturale, come testimonianza materiale avente valore di civiltà, può essere assunta come nozione giuridicamente valida a patto di intendersi che si tratta di una nozione a cui la normativa giuridica non da – e non può dare – un proprio contenuto a tratti giuridicamente conchiusi e rigorosamente vincolanti“).
Anche qui la pronuncia si muove inizialmente su un piano strettamente normativo per poi dare rilievo e tutela a “ciò che non si vede”, percorrendo con disinvoltura dimensioni mitiche e letterarie e quasi magiche legate agli ulivi monumentali ed alle aree sulle quali sorgono.
Infatti, dopo aver ricordato che la L.R. 14 del 2007 prevede la tutela di aree caratterizzate dalla presenza di ulivi monumentali, “intendendosi per tali non solo quelli aventi determinate dimensioni ma anche quelli che possiedono età plurisecolare o rappresentazione in documenti o rappresentazioni iconico-storiche“, il Tar della Puglia ci introduce nelle ragioni di ordine storico, archeologico, letterario ed antropologico che consigliano la tutela degli ulivi monumentali di Giuggianello:
“a) scrive Nicandro, autore greco del II secolo a.c. che “Dagli ulivi del Colle i fanciulli intrappolati nel legno emettono gemiti udibili talvolta nella notte dagli umani”;
b) il testo di Vincenzo Ruggeri (…) richiama la presenza di ulivi a far da cornice ai racconti popolari sui luoghi di cui si discute …
Ed ancora, con riferimento alla necessità che si tenga conto “del patrimonio culturale e del paesaggio rurale concernente l’area oggetto dei predetti interventi“, si chiarisce che “detto patrimonio culturale, nella specie, è per l’appunto costituito da una serie di miti e leggende che si sono sviluppati, nel corso del tempo intorno ai luoghi di cui si discute (sito megalitico delle c.d. “Rocce Sacre”). Varie sono le testimoniane in questa direzione – tra cui anche quelle poc’anzi citate con riferimento alla presenza di ulivi monumentali – le quali stanno a testimoniare il grande valore simbolico e storico – etnografico della questione. Sono infatti presenti, in questo luogo chiamato anche il “Colle dei fanciulli e delle Ninfe” una serie di monoliti evocati in antiche credenze popolari – ed in particolare nella tradizione contadina – legate alla ritenuta presenza di forze magiche e benefiche che governavano lo svolgersi degli eventi nelle campagne“.
Il G.A. conclude che “pertanto le amministrazioni partecipanti al procedimento de quo avrebbero dovuto adeguatamente tenere conto, altresì della sussistenza di questi fondamentali aspetti di carattere antropologico e culturale.“.
Da quanto sopra deriva l’accoglimento dello specifico motivo di ricorso
Paralizzati sulla soglia del mito, non v’è probabilmente conclusione migliore delle parole di uno dei maggiori studiosi del tema: ” il mito è una storia vera, sacra ed esemplare, che ha un senso specifico e comporta una ripetizione, ciò che dà luogo ad una tradizione (…) E’ un modo di essere del mondo” (J. Ries, volume II dell’Opera Omnia, Jaca Book, Milano, 2007, 313-314).