9 marzo 2010
Il Piano delle alienazioni e valorizzazioni e la testa di Carlo I
Come il memoriale di Mr Dick sul Lord Chanchellor nel romanzo di Dickens, a distanza di diverse settimane dalla sentenza n. 340 del 2009 della Consulta c’è ancora un aspetto che mi induce a ritornare sul tema.
Similmente alla testa di Carlo I Stuart giustiziato da Cromwell davanti alla Banqueting House che doveva celebrarne la potenza, la Consulta ha fatto rotolare l’idea che ricollegava al semplice inserimento di immobili nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari l’effetto della variante urbanistica senza necessità di verifica di conformità con gli atti di pianificazione sovraordinata (ad es. relativa al paesaggio) di competenza di Regioni e Province , salvo che con riferimento a terreni classificati come agricoli, per cui la verifica di conformità è richiesta a certe condizioni.
Quanto alle ragioni per cui l’idea – che avrebbe voluto ricomporre ad unità (i piani delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari) i diversi livelli di governo del territorio – non ha retto dinanzi ai principi fondamentali della Costituzione ed al riparto di competenze in materia di governo del territorio è cosa nota e si rinvia direttamente alla lettura della sentenza.
Meno scontata è la ragione che ha mosso il legislatore a confermare, in sede di conversione del d.l. 112/2008, l’idea che avrebbe voluto ridurre ad un istante (con l’inserimento degli immobili pubblici non strumentali nei piani delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari) la determinazione delle destinazioni d’uso urbanistiche anche in variante agli strumenti urbanistici generali ed a prescindere da considerazioni di conformità con la pianificazione sovraordinata.
Dagli emendamenti proposti nel corso dell’iter di conversione del d.l. 112/2008, si desume che il tema delle ragioni emerse con una certa intensità in sede di discussione: l’emendamento 58.6. (respinto) ad esempio proponeva di aggiungere alle parole “destinazione urbanistica” del comma 2, le parole “nel rispetto dei principi di salvaguardia dell’interesse pubblico e dell’integrità urbanistica e ambientale” e l’emendamento 58.5 (respinto) ad esempio proponeva di aggiungere al comma 2 primo periodo, dopo le parole “ne determina“, le parole “con esclusione dei beni immobili di particolare valore artistico, architettonico e storico“.
Interessante, anche se per altri versi, l’emendamento 58.2. (respinto) che proponeva di aggiungere all’art. 58, comma 1 dopo le parole “funzioni istituzionali” le parole “se non destinatE ad attività di rilevante interesse sociale e culturale” (cfr. Relazione orale n. 949- A relativamente al testo proposto alla 5° Commissione permanente del Senato).
La vicenda si fa sempre più avvincente se si presta attenzione ai rilievi del relatore rappresentante del Governo il quale, con riferimento ad emendamenti fra i quali quelli sopra richiamati, ritiene che “pur apprezzando le finalità sottese alle proposte emendative illustrate, le disposizioni contenute nel provvedimento offrano già soluzioni adeguate per fronteggiare la lentezza delle pubbliche amministrazioni“.
E, d’altra parte, più in generale, anche un esponente dell’opposizione ricorda che “nei programmi elettorali delle due principali coalizioni si attribuiva un ruolo alle politiche di valorizzazione del patrimonio pubblico, che include i beni dell’Amministrazione Centrale e di quella periferica. Fa presente infatti che il valore del patrimonio italiano potrebbe consentire la riduzione dell’ingente debito pubblico, liberando risorse per altre finalità. Precisa che detto processo incontra difficoltà tanto di tipo cognitivo, legate alla stima precisa del patrimonio, quanto di tipo organizzativo, poiché occorre accomunare l’amministrazione centrale a quelle locali in un’unica strategia di valorizzazione….”.
A prescindere da considerazioni di ordine politico che non interessano in questa sede, è viceversa interessante rilevare come, a fronte della comune esigenza di valorizzare il patrimonio pubblico, sia il relatore del Governo che l’esponente dell’opposizione convergono sulla diagnosi delle difficoltà (“le finalità sottese alle proposte emendative” del relatore del Governo) di attuazione di un’efficace strategia di valorizzazione del patrimonio pubblico, che consistono innanzitutto, nella conoscenza e valutazione di tale patrimonio.
E poiché la determinazione della destinazione d’uso urbanistica costituisce un fattore che evidentemente prefigura e condiziona la valorizzazione del patrimonio pubblico considerato, è d’uopo allineare i tempi della determinazione della destinazione d’uso del bene da valorizzare alle esigenze (ed ai tempi) dei potenziali investitori: questo, con tutta evidenza, è davvero il nodo.
Giova tuttavia, considerare come a tale diagnosi non si sia stata ancora trovata alcuna efficace terapia.
Il relatore del Governo, infatti, sostiene che il miglior modo per fronteggiare la lentezza delle amministrazioni per ridurre l’arco temporale di determinazione della destinazione d’uso urbanistica consiste nella riduzione dell’intero processo ad un istante – ossia nell’istante in cui avviene l’inserimento dell’immobile pubblico non strumentale con indicazione contestuale delle destinazioni d’uso anche in variante, nel piano delle alienazioni e valorizzazioni – sostanzialmente azzerando le verifiche di conformità con le pianificazioni sovraordinate (salvo a certe condizioni per i terreni classificati come agricoli) richieste dalla Costituzione (“le disposizioni contenute nel provvedimento offrono già soluzioni adeguate per fronteggiare la lentezza delle pubbliche amministrazioni”).
Quanto faustiano sia risultato questo tentativo lo racconta la sentenza della Consulta che ha evidentemente ritenuto che la riduzione all’istante dei processi di determinazione delle destinazioni d’uso urbanistiche a prescindere da verifica della conformità delle destinazioni d’uso urbanistiche con le pianificazioni sovraordinate « non ce l’avevano affatto l’anima, e per questo sembrava ne traboccassero: erano possedute soltanto da un’inestinguibile frenesia progettuale, del continuo fare e disfare, senza altro scopo che l’azione di per sé stessa … » (Fernando Savater, 1993, Creature dell’aria – Monologo XII, parla Mefistofele).
L’esponente dell’opposizione, viceversa, intuisce che per allineare i tempi delle determinazione delle destinazioni d’uso urbanistica ai tempi degli investitori occorra anche far leva sulle carenze organizzative dell’Amministrazione che all’attualità non consentono “di accomunare l’amministrazione centrale a quelle locali in un’unica strategia di valorizzazione“… : il che è per l’appunto un aspetto del problema che è sacrosanto affrontare con pervicacia, con riferimento al quale però non sembra siano disponibili soluzioni a buon mercato, attuabili in tempi ragionevolmente brevi e specialmente non improprie (ossia senza il ricorso sistematico a strutture che presentino complicazioni sotto il profilo della la distinzione fra indirizzo e controllo da un lato ed attuazione e gestione dall’altro).
Ben altre suggestioni – relative a profili concorrenti – è il riferimento alle destinazioni “ad attività di rilevante interesse sociale e culturale” di cui all’emendamento 58.2. il cui perseguimento richiama inevitabilmente alla mente quanto auspicato da G. Abbamonte in un recente scritto in cui sosteneva che “se è vero che sul territorio confluiscono le esigenze degli uomini e della comunità, segue che il coordinamento deve realizzarsi in una pianificazione tendenzialmente unitaria, sia pure articolata per piani contenenti soluzioni generali e per piani successivi che le soluzioni generali specifichino, rendendole attuabili. Ma a mio avviso una cosa è certa, che la pianificazione deve essere espressione di un’impostazione unitaria, via via aggiornabile nei tempi che succedono, perché il mondo muta, ma sempre disponendo in modo da assicurare coerenza fra le soluzioni che si adottano per il territorio ed avendo presente una verità molto semplice e, cioè, che lo strumento che viene chiamato piano regolatore urbanistico, piano regolatore comunale, pano regolatore intercomunale e così via è, in realtà, il piano socioeconomico della comunità che vive sulla zona pianificata” (G. Abbamonte, L’evoluzione della disciplina in materia edilizia ed espropriazione e le principali problematiche giurisprudenziali, in Giustamm. it, pubblicata il 5 gennaio 2009)… che però presuppone il concorso degli attori sociali economici ed istituzionali presenti nel territorio, ossia della comunità che vive nel territorio.
Scritto il 11-3-2010 alle ore 12:44
Condivido pienamente le sue osservazioni e i contenuti di quanto auspicato da G. Abbamonte.
Lo scenario al quale assistiamo invece è a mio avviso assolutamente inquietante.
La c.d. “deregulation” a largo spettro, avviata se non ricordo male già nel 1990 con l’adozione della c.d. urbanistica contrattata, con deroghe man mano sempre più incidenti sulla pianificazione locale e sovraordinata , non poteva altro che condurre – stante le “caratteristiche” di un paese come il nostro – ad un unico attore sociale, l’INVESTITORE , quasi sempre sostenuto dalle istituzioni così spesso poco attente alla comunità che vive sul territorio ed altresì insensibili alla salvaguardia di quest’ultimo.
I risultati li vediamo e li viviamo ormai quotidianamente, in totale spregio all’assetto istituzionale a suo tempo creato per il controllo e la salvaguardia di quei beni “irripetibili” che sono l’ambiente e i beni culturali ovvero il patrimonio (tutto) della collettività.
Non fa specie se il concetto di “valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico”, sia anch’esso percepito, e dunque destinato in quanto anche risorsa economica, a questo unico attore sociale di faustiana memoria.
Scritto il 6-5-2010 alle ore 17:44
Cara Patrizia,
non so se il problema sia nell’urbanistica negoziata o nell’urbanistica…
Da quando le risorse pubbliche per l’ordinato assetto delle città sono sensibilmente diminuite, il concorso di investitori privati è diventato “ingrediente” ineludibile.
Probabilmente è il talento del pasticciere a fare la differenza.
Scritto il 12-5-2010 alle ore 18:59
Caro Eugenio,
condivido la tua opinione anche se (sic) non vedo pasticcieri con talento, ma solo guidatori scellerati!!
D’ ora in poi….visto che persino l’illustre Dott. Stefano Rodotà si è seriamente arrabbiato con i guidatori, sarei propensa ad abbandonare blandi eufemismi sostenendo la necessità di bandire l’urbanistica di stile mafioso.
Scritto il 27-7-2010 alle ore 14:14
…e come sempre quando mi documento on line prima o poi mi imbatto in uno dei tuoi succosi articoli…
e come sempre è un piacere leggerti…
approfitto per un saluto
G
Scritto il 29-7-2010 alle ore 13:42
Grazie per l’incoraggiamento Greg, un saluto anche da parte mia