16 luglio 2010
I paesaggi della differenza e del differimento
Di grande interesse il XVIII quaderno per la ricerca ISSiRFA – C.N.R dal titolo “Paesaggio e Paesaggi”.
L’autore, il prof. Carlo Desideri, attraversa la frattura e si propone di “misurare” (n.d.r.) il divario “esistente in Italia tra sistema di diritto e condizioni reali del paesaggio“, tra “apparente completezza e logicità del diritto” e “uno stato delle cose che manifesta, più e prima che l’inefficacia del diritto, la sua separatezza ed astrattezza” in tema di tutela del paesaggio.
Senza anticipare il contenuto del volume che per la varietà degli aspetti toccati appare un vero distillato di suggestioni sull'”apparente più che reale stabilizzazione della materia“, farò un brevissimo cenno al tema, ampiamente sviluppato nel quaderno, che per molti versi costituisce “l’anello che non tiene” dell’impalcatura concettuale ed ideale su cui si sorregge la materia: il tema identitario.
L’Autore racchiude le sue riflessioni in tema di “identità” nell’ambito del capitolo: “Paesaggio e comunità”, riferendosi ad esso come “concetto difficile, da maneggiare con modestia“.
In effetti, con riferimento all’identità – che nello stesso Codice dei beni culturali e del paesaggio assume rilievo centrale per la stessa definizione di paesaggio – “sembra ancora attuale l’osservazione di uno scrittore francese (V. F. Braudel) che si sia finito per consacrare subito nei testi normativi una nozione senza però approfondire i significati dei quali è portatrice“.
In realtà è il concetto stesso di identità ad apparire talvolta “ambiguo” o poco chiaro; ad esempio, con riferimento al concetto di “identità nazionale” che nel Codice concorre a definire il paesaggio: “può sembrare un paradosso (…) ma proprio il concetto di nazione, intesa in senso sostanziale (con riferimento cioè a determinati caratteri etnici o in genere culturali) e non solo politico, rimanda a forme politiche di convivenza di tipo pluralistico.(….) Più identità regionali e locali con loro specifici connotati culturali convivono nell’ambito dello stato nazionale (senza rompere l’unitarietà del popolo), il quale – a sua volta – può far parte di unità più ampie” (es. Unione Europea); ed ancora: “la pluralità delle culture e delle identità dello stato di diritto costituzionale (…) sono già oggi all’interno delle comunità nazionali – statali“.
Il concetto di identità nazionale evocato nel Codice, realmente è oramai imploso: di per sé non funge da utile “canone di valutazione e di identificazione della sostanza e dei valori del paesaggio” perché “sembra da un lato dire troppo, dall’altro troppo poco. Troppo perché non chiarisce se si possa attribuire valore ad un paesaggio rappresentativo di un’identità locale o regionale, a meno che tale identità non sia a sua volta ritenuta (ma da chi?) rappresentativa dell’identità nazionale. Troppo poco perché (…) già oggi paesaggi di particolari paesi possono divenire elementi rilevanti per la formazione di identità più ampie (si pensi ai concetti di patrimonio dell’umanità e di “patrimonio europeo”)“.
L’orizzonte ideale astratto che sottende l’espressione “identità nazionale” (per cui: Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus) può allora conoscere un salutare contemperamento in una lettura rinnovata del paesaggio da perseguire eventualmente con “l’inserimento del paesaggio nell’ambiente” ossia “sviluppando un processo interpretativo profondo di scoperta e definizione del senso del luogo, per usare un’espressione entrata nell’uso in altri paesi, e perciò una visione arricchita e non formale dello spazio, né solo pura dimensione spaziale astratta della operatività tecnica dell’economia e del diritto, né solo spazio politico“.
L’A. sembra qui alludere ad un’accezione di paesaggio necessariamente non elitaria (essendo oramai l’idea elitaria defunta ed impraticabile per altre ragioni): un paesaggio in cui le energie e le differenze presenti nel territorio si diano convegno e trovino composizione tramite una maggiore compenetrazione della materia ambientale e paesaggistica, ma anche un paesaggio – ambiente in cui l’ambiente non sia considerato unicamente nei suoi componenti specifici e di settore ossia unicamente “nei problemi e conflitti che mettono in risalto aspetti giuridici specifici” ma nella sua globalità, nell’insieme delle “condizioni di esistenza” dell’individuo e di convivenza della comunità stanziata nel territorio considerato, in un determinato tempo (l’espressione “condizioni di esistenza” fu usata da F. Spantigati in “Le categorie giuridiche necessarie per lo studio del diritto dell’ambiente”, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 1999, 2, 227: “non c’è un oggetto che si chiami ambiente. C’è un interesse soggettivo a condizioni di esistenza che si chiamano ambiente“) che consegua ad uno “sguardo profondo” che dei problemi e conflitti consideri tutte le implicazioni percepite e sentite in un dato luogo e in un dato tempo (quanto agli strumenti l’A. sembra proporre un’integrazione con la materia urbanistica ed analizza l’esperienza francese).
A fronte del gap tra sistema di diritto e condizioni reali del paesaggio si osserva inoltre, la tendenza (quasi mantrica ) a concentrare l’attenzione sul riparto di competenze dei poteri pubblici in particolare fra Stato e Regioni, per cui si ha talvolta la sensazione che “del paesaggio, in sede di formulazione e poi di interpretazione delle normative, ci si chieda più a chi spetti, piuttosto di che cosa sia e che cosa ne vogliamo fare. (…) In realtà andrebbe sempre tenuto presente che l’espressione per cui il paesaggio è una materia attribuita in competenza non vuol dire di per sé che esista un oggetto preciso di paesaggio, né tanto meno che tale oggetto sia tutelato” Così come la convinzione “che il paesaggio, proprio in quanto attribuito alla competenza statale sarà tutelato, appare una semplificazione che non trova riscontro nella realtà“.
Può anche essere che evocare una tutela paesaggistica astratta che si alligni a livello statale (con tutti le vertigini, anche di ordine organizzativo istituzionale che non contribuiscono certo a rendere tale illusione più reale) possa infine, contribuire a rendercela in qualche modo meno “estranea” perché – secondo la citazione di Desideri a preludio del suo lavoro – “… quello che possiamo fare è chiamare le cose, invocarle perché vengano a noi con i loro racconti: chiamarle perché non diventino tanto estranee da partire ognuna per conto suo in una diversa direzione del cosmo lasciandoci incapaci di riconoscere una traccia per orientarci” (Celati, Verso la foce, Feltrinelli, Milano, 2002, 134).
Tuttavia, non v’è dubbio che una tutela paesaggistica astratta, anche se di livello statale, è ben lontana dal costituire una “condizione dell’esistenza”, secondo il senso all’espressione attribuito da Spantigati.
L’espressione “condizione dell’esistenza” riferita al paesaggio – ambiente non sembra troppo lontana da quell'”attraversamento di paesaggi abitati – per non dire posseduti – da varie esperienze” di cui parla Michel de Certau in un prezioso volume, edito nel 2007 per i tipi di Medusa dal titolo: “La pratica del credere”.
Parafrasando Michel de Certau, si potrebbe anzi sostenere che ciò che distingue il paesaggio – ambiente come “condizione dell’esistenza” dalla semplice considerazione del paesaggio astrattamente oggetto di tutela è “un intreccio di operazioni, una combinazione di doni e di debiti, una rete di riconoscimenti, (…) una tela di ragno che organizza un tessuto sociale (…) a metà strada tra una pratica del tempo e una simbolica sociale” che “in virtù dei suoi sviluppi, dei suoi nascondimenti e delle sue dislocazioni“, assume valore di luogo strategico in cui, con uno sguardo profondo e differito*, si determinano le condizioni di esistenza dell’individuo e della comunità insistenti in un territorio.
* N.B.: In estrema sintesi, il differimento consiste nell’incontro di soggetti indipendenti che volentieri decidono di ritardare il tempo di appropriazione di una cosa determinata. Tale differimento genera “diritti”: “la cosa data viene scambiata con un diritto che pone l’altro – e il tempo stesso – in una rete di obbligazioni. La cosa entra in campo di operazioni socio- storiche che permettono una gestione collettiva dell’altro e del tempo”.