4 febbraio 2013
Il mestiere delle armi (la ridefinizione complessiva degli strumenti di tutela paesaggistica e culturale)
In un incontro pubblico tenuto in concomitanza con l’uscita nelle sale del “mestiere delle armi“, alla domanda se “il suo fosse un film storico e di che tipo (…), [poiché] sembrava che il suo film potesse essere considerato storico in senso quasi esclusivamente figurativo“, Ermanno Olmi rispondeva :”quando si fa riferimento al passato, che sia un passato recente o lontano, non si vuole ricostruirlo con pedanteria filologica. Si prende spunto da un avvenimento storico per poi evocare il passato. Le sue domande, legittime per lei, mi spiazzano completamente, perché non c’entrano niente con i presupposti per cui ho realizzato il film“.
Allo stesso modo, nella dichiarazione di interesse culturale relativa al sistema dei “laghi che circondano la città ducale (Mantova) e gli annessi sistemi di irrigazione idraulica e naturale di rivi e altre opere complementari di interesse particolarmente rilevante”, adottata dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesistici delle province di Brescia, Cremona e Mantova, ai sensi dell’art. 10, comma 3 lett. d) del d.Lgs. 42/2004 e nelle prescrizioni di tutela indiretta previste per il “confinante ambito non lacustre, situato sulla sponda sinistra dei laghi di Mezzo e Inferiore, indicato come zona di rispetto nella quale è interdetta qualsiasi tipo di costruzione”, la cui legittimità è stata confermata con la sentenza del Consiglio di Stato 3 luglio 2012, n. 3893, l’intento prevalente non sembra tanto quello di assicurare una tutela delle testimonianze “materiali” aventi valore di civiltà, secondo una nota espressione risalente alla Commissione Franceschini, ma un territorio in quanto evocante un passato, secondo la sensibilità di Ermanno Olmi.
Oggetto di tutela è infatti il sistema territoriale e lacustre circostante la città di Mantova “in quanto è stata sede o reca la testimonianza di fatti o situazioni storici”, e dove “la combinazione con il dato di natura, ove di questa relazione partecipi, contribuisce ad esprimere il valore culturale come valore storico”: ossia, è cifra identitaria “della storia e delle istituzioni pubbliche collettive e religiose” di quel territorio, senza che il valore culturale coincida con le singole componenti materiali che lo compongono.
Si osserva per converso che se la tutela culturale “praticata” su porzioni molto estese di territorio antropizzato, in cui è dominante il “dato naturale” è per molti versi inedita sul piano applicativo, l’ambito di applicazione che della tutela paesaggistica si trae dalla sentenza è l’abbandono del richiamo esplicito alla storicizzazione delle tracce antropiche del territorio che restano “assorbite” nella tutela di beni culturali con chiare connotazioni “immateriali, com’è in parte ineluttabile a seguito della connotazione che alla tutela paesaggistica è attribuita, in primis, dalla Convenzione Europea del Paesaggio.
La sentenza aggiunge un ulteriore tassello nella direzione della “messa a fuoco” della tutela paesaggistica rispetto alla tutela dei beni culturali “che sintetizzano i rispettivi tipi amministrativi di tutela, componenti unitariamente – per comune fondamento storico, concettuale e giuridico – il genere del patrimonio culturale ed abbiano principi comuni perché collegati dall’analoga matrice culturale e dal valore identitario (artt. 1 e 2 del Codice) e dal riferimento contestuale nel medesimo principio fondamentale dell’art. 9 della Costituzione”.
Il processo di ridefinizione è in atto anche se non risultandone ancora chiaro l’approdo, non è possibile valutarne tutte le implicazioni.
Una riflessione sul “mestiere delle armi” ossia sugli strumenti di tutela resta necessaria al fine di evitare che, come nel film, la “nobile arte della guerra” che si basava sulla “qualità del cavaliere, sull’uso dell’arma bianca (…) non risulti sconfitta” dalla staticità (Ermanno Olmi parla di “stupidità”) dell’archibugio, ossia da una tutela culturale che si sostanzi nella mera evocazione della“ storia e delle istituzioni pubbliche collettive e religiose”, ossia del genius loci, il quale – quello certamente si – aveva elaborato ciò che oggi chiameremo una gestione strategica ante litteram di un sistema territoriale complesso, preordinato ad assicurare le condizioni di esistenza politica, economica e militare di un territorio.
Scritto il 23-9-2013 alle ore 13:58
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